Amarcord. Maggio 1927: l’aviatore Lindbergh riconosce Parigi grazie alla Tour Eiffel illuminata da André Citroën

21 maggio 1927: l’aviatore Charles Lindbergh riconosce Parigi grazie alla Tour Eiffel illuminata da André Citroën.
Nel 1925, André Citroën decise di stupire Parigi e il mondo intero illuminando per la prima volta la Tour Eiffel con il suo nome.
Una storia che nasce da un incontro casuale con un italiano, Fernando Jacopozzi. Nel 1927 sarà proprio la torre illuminata dalla scritta “CITROËN” a guidare su Parigi l’aviatore Charles Lindbergh durante la trasvolata atlantica New York – Parigi. La Tour Eiffel illuminata, visibile fino a 40 km di distanza, veniva descritta dalla stampa dell’epoca come “una torcia d’oro che s’infiamma nella notte”. Ai piedi della torre una piccola centrale elettrica da 1.200 kilowatt con 14 trasformatori che ricevevano corrente alternata ad una tensione di 12.000 volt. L’illuminazione e i giochi di luce erano gestiti tramite una tastiera comandata da un operatore che si trovava in una cabina al secondo livello della Tour Eiffel.

Il progetto della Torre Eiffel illuminata nacque a seguito di un incontro del tutto casuale tra due uomini geniali. Nel 1914, le truppe tedesche avanzavano rapidamente verso il cuore della Francia ed il Ministero della Guerra decise di fare appello agli industriali che, richiamati al fronte con mansioni da soldati, vennero rapidamente riconvocati per affidare loro incarichi strategici più vicini alle loro possibilità e capacità.
L’incontro avvenne nelle stanze del Ministero e tra i presenti c’erano importanti rappresentanti di Case Automobilistiche francesi, tra cui André Citroën. Tra loro anche un italiano che da anni viveva a Parigi, Fernando Jacopozzi, un fiorentino, classe 1877, decoratore, specializzato in una nuova arte: quella dell’illuminazione elettrica.
Se Parigi era chiamata la Ville Lumière, non era certo un caso: il centro della città, dopo il tramonto, si accendeva ogni sera e risplendeva di milioni di luci colorate che costituivano le numerose insegne dei locali della città ma anche l’illuminazione di monumenti e punti turistici. Jacopozzi, in particolare, aveva acceso l’Arco di Trionfo, la Colonna di Place Vendome e la stessa Notre Dame, in un tripudio di luce che ogni sera valorizzava le forme di questi immortali monumenti.
Fernando Jacopozzi si trovava in quella sala del Ministero della Guerra perché gli sarebbe stato affidato un incarico segretissimo: gli Zeppelin tedeschi avevano già dato prova della loro micidiale capacità di bombardamento (e molto di più avrebbero fatto negli anni), da quote che li rendevano imprendibili per gli aerei da caccia dell’epoca e persino per la contraerea. Parigi era così facilmente visibile dall’alto che bisognava proprio inventarsi un diversivo, così a Jacopozzi fu conferito l’incarico di “ricostruire”, con le sue lampadine, un pezzo della città nella vicina foresta di Fontainebleau, per ingannare i dirigibili germanici.
Fu in quell’occasione che André e Fernando si conobbero, con la promessa di rivedersi a guerra finita, per far qualcosa assieme.
Gli anni passarono e nel 1922 il mondo era abbastanza diverso rispetto a otto anni prima: la Grande Guerra era finita, i dirigibili tedeschi erano tornati pacifici mezzi di spostamento, André non produceva più granate ma automobili: le celebri 10HP e le nuovissime 5HP stavano motorizzando la Francia e l’intera Europa, grazie alle economie rese possibili con la produzione in grande serie importata da André Citroën nel Vecchio continente.
Nel frattempo, il “mago delle luci”, Fernando Jacopozzi (nella foto sotto), era tornato ai suoi monumenti, con l’obiettivo di illuminare un simbolo della capitale francese, niente di meno che la “Dama di Ferro”, la Tour Eiffel. Fu così che, un giorno del 1923, l’italiano andò a bussare alla porta di André Citroën per sottoporgli il progetto.

La sua idea era semplice: gli servivano solo 200.000 lampadine, 100 km di cavo ed una piccola centrale elettrica che si sarebbe potuta azionare con le acque della Senna. Poi si sarebbe potuto scrivere il nome “Citroën” sui quattro lati della Tour Eiffel, che sarebbe diventata così l’insegna luminosa più grande al mondo.
André Citroën tentennò qualche minuto perché la Tour Eiffel era il suo sogno e da piccolo aveva assistito a tutta l’evoluzione del cantiere, che vedeva crescere dalla sua finestra. In seguito, aveva avviato la sua attività al quai de Javel, praticamente sotto alla Torre ed aveva addirittura portato avanti il progetto di usarla come antenna della sua “Radio Citroën”.
La proposta di Jacopozzi, nonostante fosse estremamente interessante, era tuttavia molto costosa ed in quel periodo André Citroën aveva già fatto ingenti investimenti sui mezzi di produzione delle sue autovetture, in particolare per le titaniche presse americane per le monoscocca, ed altre spese già in corso gli rendevano impossibile stanziare una somma come quella necessaria per realizzare il progetto dell’Italiano. Tuttavia, nonostante l’impegno economico richiesto, André Citroën seppe riconoscere con grande lungimiranza l’efficacia di tale investimento e così decise di accettare la proposta di Jacopozzi.
I lavori partirono immediatamente: un piccolo esercito composto da circensi (trapezisti e giocolieri), ex militari della Marina francese, scalatori ed acrobati in genere, iniziò a montare le strutture con le lampadine sui quattro lati della Torre, mentre vicino al monumento veniva creata una centrale elettrica da 1.200 kW capace di servire l’intera installazione.
L’accensione avvenne il 4 luglio del 1925. Non è chiaro dove fosse André in quel momento perché i figli fornirono due versioni diverse: che si trovasse su un Bateau-Mouche che scivolava sulla Senna o sull’Esplanade du Trocadéro, in ogni caso André aveva sicuramente tra le mani un calice di ottimo champagne per brindare all’accensione di quella stessa Torre che tanta notorietà avrebbe portato al Double Chevron, rimanendo accesa fino al 1934 e che avrebbe addirittura guidato Charles Lindbergh nel suo volo in solitaria da New York a Parigi.

Il 21 maggio del 1927, poco dopo le ore 22, lo Spirit of Saint Louis, il monoplano pilotato da Charles Lindbergh, atterrò all’aeroporto parigino di Le Bourget dopo una trasvolata atlantica in solitaria durata 33 ore e mezza, consacrando alla storia il pilota venticinquenne. I francesi esultarono per il coraggio dell’aviatore americano, ma uno in particolare fu attratto da un altro aspetto di questa grande impresa, che era il suo elevato potenziale in termini di comunicazione. André Citroën era in ottimi rapporti con l’ambasciatore americano Myron Herrick e dopo qualche giorno di frenetiche consultazioni, fu deciso che il 27 maggio 1927, Charles Lindbergh avrebbe visitato gli stabilimenti Citroën di quai de Javel!
In pochissimi giorni quello che oggi chiameremmo l’ufficio stampa di Citroën organizzò un evento all’altezza di un ospite tanto importante: venne convocata la stampa, allestito un pulpito e una tribuna nei piazzali della fabbrica, fu addirittura creato un “viale d’onore” delimitato da transenne per far giungere in parata, tra le due ali della folla degli operai, il corteo capitanato da André Citroën con a fianco Charles Lindbergh; nella Halle d’Honneur di Javel venne realizzata una grande decorazione murale, e grandi installazioni floreali completarono la cornice del buffet di gala.

Nel primo pomeriggio Lindbergh fece il suo ingresso alle Usine Citroën, dove André Citroën ed il suo fidato braccio destro Georges-Marie Haardt, accolsero l’aviatore e lo guidarono a visitare la catena di montaggio in piena produzione; gli operai, in pochi minuti assemblarono davanti agli ospiti una carrozzeria, e, man mano che il piccolo gruppo avanzava tra i reparti della fabbrica, un campanello avvertiva gli operai del loro arrivo e alla fine del tour, nella piazza centrale degli stabilimenti di Javel, in diecimila, tra operai, dirigenti e maestranze, accolsero festanti Citroën, Haardt, Lindbergh e Herrick che salirono sul pulpito per fare il loro discorso. André Citroën presentò alla folla l’eroe americano non mancando di sottolineare che si trattava di un pilota e valido meccanico, proprio come loro! Lindbergh, da uomo schivo e di poche parole, come lui stesso ammise, ringraziando (in inglese) per la calorosa accoglienza dirà che avrebbe preferito attraversare più volte l’Atlantico piuttosto che pronunciare discorsi! La visita si concluse con il buffet d’onore, la firma sul Livre d’Or degli ospiti e ancora un bagno di folla per firmare gli autografi, e sarà proprio in quest’occasione che Lindbergh confiderà ai presenti d’aver scorto dall’alto le luci della Tour Eiffel che, come un faro, l’aveva guidato nell’individuare Parigi.
Negli anni la configurazione della scritta sulla Tour Eiffel cambiò e fu usata per diversi scopi: talvolta esponeva la sigla di un determinato modello Citroën, a volte informava i francesi sulle condizioni metereologiche, grazie ad un termometro con stazione meteo alto 30 metri, e fu utilizzata perfino per scandire le ore, grazie ad un enorme orologio, installato nel 1933, con un quadrante di venti metri di diametro, dotato di lancette e cifre che s’illuminavano dopo il tramonto del sole, che avrà anche il primato d’essere il più grande orologio al mondo di quell’epoca.
Fonte e foto: ufficio stampa

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